L’aceto balsamico di Modena e Reggio Emilia

L’aceto balsamico e l’importanza dei vitigni autoctoni

Se partiamo dalla definizione che fornisce il nostro vocabolario della lingua italiana, il termine aceto balsamico è comunemente utilizzato per indicare in modo generico alcuni condimenti ed aceti agrodolci prodotti nelle province di Modena e Reggio Emilia.

Storicamente già nella civiltà romana accanto al culto del vino era presente “l’acetabulum” (l’ampolla contenente aceto) sempre su tutte le tavole e via via la produzione di aceti e condimenti si diffusero sempre di più fino alla produzione di aceti ‘speciali’ e di aceti ‘aromatici’. Più avanti nei secoli, all’interno di quelli che oggi sono definiti gli “antichi domini estensi” si interveniva sugli aceti prodotti nelle case per renderli più gradevoli, mediante aromatizzazioni con droghe, liquirizie, rosmarino, rose, vaniglia, oppure producendoli con differenti materie prime (trebbiano, moscato…) o procedure, creando nei secoli una diffusa fama per gli “aceti alla modenese”.

Nei registri delle cantine del Palazzo Ducale di Modena, situate a Rubiera, compare per la prima volta nel 1747 l’aggettivo “balsamico”, per distinguere una particolare tipologia rispetto alle altre presenti nel ricco insieme del palazzo. Nel 1830 tale definizione venne ulteriormente arricchita, per cui gli aceti presenti a Corte vennero suddivisi in “balsamici”, “semibalsamici”, “fini” e “comuni”.

Solo con la nascita dello Stato Italiano (1860) il risveglio dei mercati ha via via destato sempre più interesse riguardo al Balsamico, tanto che alla fine dell’800 l’Aceto Balsamico di Modena comincia a comparire nelle più importanti manifestazioni espositive, creando grande interesse non solo sul territorio ma anche a livello internazionale.

Dal punto di vista normativo la prima autorizzazione ministeriale a produrre “l’Aceto Balsamico del Modenese” risale al 1933. Dopo il secondo conflitto mondiale e nel dopoguerra con il boom economico e l’espansione dei consumi portarono alcuni produttori (tra i quali i più importanti furono forse Telesforo Fini e la famiglia Monari-Federzoni) a commercializzare col nome “Aceto Balsamico” un prodotto differente da quello tradizionalmente preparato nelle soffitte private, fondando il nome sull’usanza storicamente presente di procedere a tagli con aceto di vino per il normale consumo quotidiano e divenne quindi un prodotto comune sulle tavole di tutta italia e del mondo intero.

Come sempre accade non essendo corretto svilire una tradizione così antica nacquero alcune regolamentazioni che prevedevano l’utilizzo del termine “aceto balsamico” nel 1965 ed il primo disciplinare di produzione dell’”Aceto Balsamico di Modena” (D.M. 12 dicembre 1965). Ma non bastava ancora ai produttori e nel 1976 vista l’ormai sostanziale identificazione del termine “balsamico” con l’aceto di tipo “industriale”, venne adottata la definizione di Aceto balsamico “naturale”, per indicare e distinguere quello prodotto secondo la definizione della “Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale” di Spilamberto.

Qualche anno dopo, per esigenze di carattere legislativo il termine “naturale” venne sostituito con “tradizionale”. Dopo anni di mutamenti giuridici, si è giunti alla definizione di indicazioni di origine da parte dell’Unione europea, per cui oggi si distinguono due tipologie di prodotto:

Aceto Balsamico Tradizionale, ottenuto dal lungo invecchiamento del mosto cotto di uva; è protetto con la Denominazione di origine protetta in due versioni:

Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (ABTM)

Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP (ABTRE)

Aceto Balsamico di Modena IGP (ABM), il prodotto più diffuso, nella cui composizione appaiono altri ingredienti e che non richiede lungo invecchiamento.

 

Aceto Balsamico Tradizionale di Modena/Reggio Emilia

Esistono solo due DOP che certificano la produzione dell’aceto balsamico secondo la procedura definita come tradizionale, cioè la tradizione produttiva delle famiglie più ricche e aristocratiche del territorio come la famiglia dei Canossa. Per esse la produzione inizia con la riduzione e concentrazione mediante cottura del mosto di uve locali (prevalentemente Lambrusco e Trebbiano). Il mosto cotto viene quindi fermentato, acetificato ed invecchiato in batterie di botti di legno per un periodo minimo di 12 anni, durante i quali il prodotto si concentra ulteriormente in modo naturale, e al termine del quale inizia a rendere una quantità annuale di prodotto pari a 2/3 litri (sui 35-40 litri di prodotto fresco che ogni anno vengono rincalzati in una batteria media).

Prelevato dalle botti più piccole, il prodotto deve essere assaggiato ed approvato da una commissione di assaggiatori esperti, prima di poter essere imbottigliato presso il centro autorizzato nella bottiglietta tipica da 100 ml. Solo allora il prodotto potrà essere denominato “Aceto Balsamico Tradizionale” di Modena o Reggio Emilia DOP. Ogni bottiglietta reca un sigillo numerato, e riporta sia l’etichetta legale del centro di imbottigliamento autorizzato sia l’etichetta del produttore.

Le due differenti DOP si distinguono prevalentemente per la forma delle bottigliette in cui il prodotto è venduto (entrambe comunque di 100 ml). Il “tradizionale” che supera i 25 anni di invecchiamento e un punteggio minimo da parte della commissione d’assaggio, sia modenese che reggiano, può essere venduto con la dicitura extravecchio, accompagnata da una capsula od un bollino di color oro. Il “tradizionale” di Reggio Emilia, inferiore ai 25 anni, viene ulteriormente distinto in “bollino aragosta” e “bollino argento”, a seconda del punteggio ottenuto dal prodotto in fase d’assaggio.

 

Sinottico delle caratteristiche dei prodotti balsamici

Da un punto di vista legale, sia l’aceto balsamico tradizionale che quello IGP sono classificati come “Aceti diversi dagli aceti di vino”, ma mentre il primo necessita di un invecchiamento minimo di 12/25 anni, il secondo richiede un invecchiamento di tre anni solo per la dicitura “invecchiato”.

Il “tradizionale” è l’unico condimento esistente al mondo partendo solamente dalla cottura del mosto d’uva, senza l’aggiunta di alcuna sostanza ulteriore, mentre l’Aceto Balsamico di Modena IGP prevede al suo interno un concentrato in proporzioni variabili di mosto e aceto di vino, con aggiunta di caramello (massimo 2%, e non è sempre presente).

Caratteristiche produttive

La qualità di legno usati nell’invecchiamento (gelso, frassino, ciliegio, castagno rovere) creano le condizioni ottimali per il processo di creazione di questo nettare. Sebbene i vini emiliani non possono essere considerati al pari di altri presenti in Italia, i mosti delle sue uve sono l’ingrediente principale per il nostro prodotto d’eccellenza che affonda però le sue radici sulle colline di Modena e Reggio Emilia. Per tutelare la qualità di questo prodotto è necessario salvaguardare l’originalità di queste uve e forse sarebbe anche utile provare a ripristinare le tecniche di coltivazione tradizionale delle viti. I vitigni autoctoni che servono per la produzione dell’aceto balsamico sono e restano il Trebbiano ed il Lambrusco.

In merito alle botti ogni legno aggiunge una nota particolare: il castagno contribuisce al tipico colore scuro; il ciliegio ne addolcisce il sapore; il gelso lo concentra più rapidamente; il ginepro lo aromatizza e il rovere, usato generalmente per le botticelle più piccole, dà il tocco finale, da maestro.

La piegatura e la cottura del mosto

La cottura del mosto deve avvenire quasi contemporaneamente alla pigiatura. Il mosto viene cotto per diverse ore “a fuoco diretto e a vaso aperto” fino a raggiungere una concentrazione, mediamente intorno al 50%.

L’invecchiamento

L’invecchiamento avviene in serie di botticelle (batterie) , di legni diversi e di volume decrescente, collocate nei sottotetti delle abitazioni. Necessita di grandi calori estivi per concentrare e maturare il prezioso “balsamico“. Ogni anno, con la particolare tecnica dei travasi, il barile più piccolo della batteria fornisce qualche litro di prodotto, mentre la diminuzione dovuta alla concentrazione viene compensata con l’aggiunta del mosto cotto nel barile più capiente. Solo dopo un adeguato periodo di invecchiamento il prodotto raggiunge quel sorprendente equilibrio di aromi e sapori che gli consente di fregiarsi della Denominazione di Origine Protetta “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena”.

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